Chi vuole immergersi in una natura senza tempo, dove passato e presente si fondono, deve visitare questa riserva. Tra Scodello e San Vito lo Capo si estende per circa sette chilometri e costituisce la prima riserva naturale istituita dalla regione, il tratto costiero risulta caratterizzato da alte falesie intervallate da bianche calette bagnate sul mare turchese, raggiungibili a piedi dal sentiero principale. Altri percorsi consentono d’inoltrarsi nell’oasi e passeggiare tra palme nane, grandi carrubi e altri esemplari di vegetazione mediterranea. La riserva si visita solo a piedi, nulla deve disturbare la quarantina di specie di uccelli che qui nidificano (tra questi l'Aquila del Bonelli, la Poiana, il Nibbio, il Gheppio) e la fauna endemica.
Molte piante che crescono qui sono rare e caratteristiche della zona; gli alberi che vivono sulle pendici dei rilievi che ricadono nella riserva sono carrubi, olivi, frassini, qualche fusto da sughero; le piante più frequenti l'euforbia e il lentrisco. Lo Zingaro è famoso per il suo mare di un blu intenso, le sue calette silenziose e protette da rocce a picco dove il falco volteggia alla ricerca di prede, per i suoi fondali limpidi e ricchi di pesce e grotte sottomarine. Ma non è solo questo. Nella riserva rientrano diverse vette, che raggiungono un'altezza massima di circa mille metri e se a ridosso della costa sono rimaste le testimonianze della vita di ottomila anni fa - la grotta dell'Uzzo - al suo interno sono visibili ancora oggi resti di una civiltà contadina molto più recente, che merita di essere ricordata. Nello Zingaro sono rimasti alcuni oliveti, dei mandorleti, dei frassineti e anche una parte di terra dedicata a seminativo, che si trova intorno al Borgo Cosenza, a circa settecento metri di altitudine sul mare; una parte di queste coltivazioni è ancora attiva, un'altra parte è di privati e viene coltivata dai proprietari. In entrambi i casi, comunque, vengono applicati i metodi di coltivazione e raccolta tradizionali.
Il progetto di recupero del "Baglio Cosenza" (abbandonato del tutto nei primi anni '50) rientra nei programmi della Riserva: conservare in loco le testimonianze della cultura materiale, e restituire dignità e vita a quella realtà sociale ed economica. La riserva è perfettamente fruibile da tutti; tre sono i percorsi classici: il primo corre lungo la costa da un limite all'altro della riserva (è il più frequentato, e anche il meno impegnativo), il secondo procede a zig zag sul territorio, incrociando la costa e le vette (più impegnativo), il terzo è riservato ai più sportivi poiché attraversa tutto lo Zingaro dall'alto al basso. Ci sono sentieri e posti dove riposarsi, vecchie case coloniche restaurate dove "bivaccare", è possibile anche pernottare in questi edifici. L'unico imperativo categorico è: non sporcare, non inquinare, rispettare mare, terra e cielo. La riserva interessa solo la "terra" dello Zingaro, mentre per quanto riguarda il mare l'unico divieto è quello di avvicinarsi col motore della barca acceso a più di 300 metri dalla costa. I fondali di San Vito Lo Capo si prestano benissimo anche alle immersioni subacquee: le alte orlate delle tante secche che si trovano a poche centinaia di metri dalla costa offrono uno scenario splendido, adatto per la fotosub. In alcune zone basta superare i 40 metri per trovare i primi rami di corallo rosso, piccoli e di nessun valore commerciale, ma ambitissimi dai fotografi. Per chi pesca in apnea, la secca del Faro (fondali da 4 a 30 metri) è in grado di regalare grandi emozioni (saraghi e ombrine le prede più comuni). Nel 1300 il corallo di Trapani, San Vito lo Capo e Bonagia, era noto in tutto il Mediterraneo, e ritenuto della migliore qualità. Sugli scogli di Cala Mancina e del "Taglio Spada" (un precipizio sottomarino ad un miglio e mezzo dalla riva) il meraviglioso corallium rubrium, l'oro rosso del nostro mare, vive ancora, ed è possibile acquistarne qualche bel ramo finito per caso fra le reti dei pescatori. Tutti i fondali attorno al capo San Vito sono ricchissimi di testimonianze di antichi traffici marittimi: anfore di diversa età e soprattutto ancore in piombo (IV secolo a.C. - V secolo d.C.) che i vascelli del tempo abbandonavano sul fondo per l'arrivo della flotta nemica, per un fortunale improvviso, o più semplicemente perché incastrati tra le rocce del fondo. La ricchezza dei reperti è la prova dell'importanza del Capo Egitarso nelle rotte marine mediterranee di duemila anni addietro. Un relitto arabo normanno (databile intorno all'anno 800) è affondato su un fondale di circa 25 metri proprio davanti al capo San Vito, studiato, fotografato e recuperato dal 1993 al 1995 per conto della Soprintendenza ai Beni Culturali.